Jonathan Gruber è infuriato

Jonathan Gruber è infuriato e ha deciso che non intende più sopportare oltre. In un recente articolo sul The New Republic, l'eminente economista, esperto di sistemi sanitari e architetto della riforma di Obama, ha manifestato per iscritto la sua irritazione nei confronti di Casey Mulligan, che in un editoriale pubblicato questo mese sull'edizione online del New York Times ha rappresentato in modo distorto le opinioni di Gruber, e anche le mie.
Gruber ha ragione a essere furibondo: quell'articolo era ingannevole e vergognoso. Ma la mia opinione è che vada inserito in un contesto più generale, e cioè l'immarcescibile mito dello stupido economista di sinistra.
Ma partiamo dal signor Mulligan, economista dell'Università di Chicago. Come Gruber ha documentato, il nostro ha sparato falsità a raffica nel suo articolo, sostenendo cose che a suo dire erano le conclusioni di un recente rapporto dell'Ufficio bilancio del Congresso, quando erano semplicemente opinioni di Mulligan stesso, tirate fuori praticamente dal nulla e che attribuiva all'Ufficio bilancio per dar loro una patina di autorevolezza.
Come se non bastasse, Mulligan ha detto ai lettori che io e Gruber siamo troppo stupidi o codardi per ammettere che i disincentivi al lavoro creati da alcuni aspetti della riforma sanitaria negli Stati Uniti impongono costi economici.
Viene il sospetto che il signor Mulligan non abbia letto veramente un paio di quegli articoli che cita nel suo editoriale. Se li avesse letti, avrebbe scoperto quanto segue (da un editoriale di Gruber sul Los Angeles Times): «L'Ufficio bilancio del Congresso calcola anche una riduzione del lavoro da parte di quei singoli individui che lavorano meno ore o evitano di passare a un lavoro più retribuito perché non vogliono perdere il diritto al Medicaid [il programma di assistenza sanitaria pubblica per gli indigenti] o perché guadagnando di più perderebbero quei crediti di imposta che li aiutano a pagare i premi dell'assicurazione sanitaria. A differenza di quelli che lasciano volontariamente il lavoro, questo secondo tipo di riduzione del lavoro comporta distorsioni economiche reali e rappresenta un costo, non un beneficio».
E avrebbe trovato anche quanto segue (da un mio editoriale del 6 febbraio sul New York Times): «Tanto per essere chiari, il previsto calo delle ore lavorate nel lungo termine non è interamente positivo. I lavoratori che sceglieranno di trascorrere più tempo con la loro famiglia ci guadagneranno, ma imporranno anche un onere al resto della società, per esempio pagando meno tasse sul reddito e sul ruolo paga. Quindi l'Obamacare comporta dei costi, al di sopra e al di là dei sussidi per l'assicurazione

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